RASSEGNA STAMPA


31 MAGGIO 2002

 

MARIA LAURA LANZILLO

Il diritto alla buona vita

Quello che le persone devono poter fare, quello che le donne non sempre possono fare. L'eurocentrismo della globalizzazione e la struttura precaria dei diritti universali nel femminismo liberale della filosofa americana Martha Nussbaum, oggi a Modena e domani a Bologna con due conferenze su donne e diritti e su "capabilities" e giustizia sociale

"Un femminismo internazionale che voglia essere incisivo dovrà impegnarsi rapidamente nell'elaborare raccomandazioni normative che trascendano le barriere di cultura, nazionalità, religione, razza e classe. Dovrà quindi escogitare concetti descrittivi e normativi adeguati a tale compito". Un compito alto che Martha Nussbaum, docente di diritto e etica all'Università di Chicago, una delle più famose voci della filosofia politica liberale statunitense, chiede alla filosofia femminista in Women and Human Development, tradotto in italiano come Diventare persone. Donne e universalità dei diritti (Il Mulino, 2001). Un compito a cui Nussbaum non si sottrae e a cui intende fornire una soluzione all'altezza della sfida che la contemporaneità offre. Il concetto descrittivo e normativo ritenuto filosoficamente necessario è individuato nell'approccio delle capabilities, le capacità umane. Un termine questo che Nussbaum riprende dalla riflessione dell'economista indiano Amartya Sen, ma che sottrae all'ambito specifico dell'analisi comparata dell'uguaglianza e della disuguaglianza sociale cui Sen lo applica, ampliandone lo spettro semantico al fine di indicare ciò che le persone non solo hanno il diritto di fare, ma sono realmente in grado di fare, in un orizzonte che è quello della dignità umana. Le capacità umane diventano allora funzionali alla fondazione di principi politici di base (costituzionali, quindi) che nell'intenzione della filosofa statunitense dovrebbero produrre una nuova forma di universalismo, non più neutro o neutrale secondo lo schema liberale (e in realtà funzionale al dominio politico e allo sfruttamento economico eurocentrico, prima, e occidentale, poi, sul resto del mondo), ma sensibile al pluralismo e alla differenza culturale. Martha Nussbaum, che divide la propria vita fra lo studio filosofico e l'impegno nella preparazione dei Rapporti sullo sviluppo umano del programma di sviluppo dell'Onu, è in questi giorni in Italia. Mercoledì scorso è stata insignita della laurea honoris causa dalla facoltà di scienze politiche dell'università di Torino e in occasione della recente uscita del suo ultimo libro Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone (prefazione di Chiara Saraceno, Il Mulino, euro 11,00, pp. 150), interverrà oggi a Modena, nell'ambito degli incontri "Le donne intrecciano le culture", al convegno Diventare persone. Coltivare capacità per un mondo possibile (Teatro S. Carlo, dalle ore 9,30) con una relazione su Donne e universalità dei diritti. Domani, invece, a Bologna, alle 10,30 nella Cappella Farnese di Palazzo d'Accursio, nell'ambito del ciclo Donne, democrazia globale e giustizia sociale, organizzato dall'associazione Orlando, discuterà insieme a Vera Negri Zamagni e Carlo Galli, moderati da Raffaella Lamberti, di Capabilities come risorse fondamentali per la giustizia sociale.

In Giustizia sociale e dignità umana Nussbaum riprende alcuni dei temi sviluppati in Diventare persone, in particolare la definizione di principi universali fondamentali che tutti i governi garantiscano al fine di ottenere il rispetto della dignità umana della persona, e li intreccia ai temi già sviluppati in precedenti lavori (dal libro che l'ha resa famosa anche in Italia, La fragilità del bene, Bologna, Il Mulino, 1996, a Coltivare l'umanità, Roma, Carocci, 1999), quali il tema dei bisogni e delle relazioni di cura o il tema degli squilibri e dell'ingiustizia nei rapporti familiari. In un volume di agile lettura, grazie anche alla bella traduzione italiana di Edoardo Greblo, Nussbaum rilegge il paradigma liberale dei diritti centrato sull'autonomia della persona da Kant a Rawls alla luce dell'esperienza quotidiana dell'assistenza e della cura, per lo più affidata alle donne, verso un bambino, un anziano o una persona disabile: il diritto a essere autonomi in quanto individui e persone sancito dalle dichiarazioni dei diritti implica o non anche il riconoscimento della capacità a essere autonomi? Declinata in maniera diversa, la questione riemerge anche nell'analisi dei rapporti che si determinano all'interno di quella particolare struttura sociale che è la famiglia e che invece le teorie liberali continuano a ritenere un'associazione naturale, legittimandone quanto meno nella pratica (se non anche nella teoria) i comportamenti di dominio, violenza e discriminazione delle donne (figlie, madri o mogli che siano) che all'interno di essa in ogni parte del mondo, in maniera più o meno velata, sofisticata o culturalmente costruita, si danno: il diritto alla privacy è un diritto realmente universale o in realtà sancisce solo la privacy maschile?

L'analisi critica di Nussbaum giunge dunque a toccare il nucleo problematico e contraddittorio del pensiero liberale dei diritti e della concezione dell'individuo e a interrogarsi sulla teoria e la pratica della giustizia. Punto di osservazione privilegiato dal quale fare emergere le difficoltà in cui oggi con maggiore evidenza si dibatte la teoria dei diritti universali, e la correlata questione della giustizia sociale, diviene la figura della donna: la condizione femminile di dipendenza e di svantaggio, più evidente nelle società dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, ma che anche le ricche e sviluppate società occidentali sperimentano, diventa indicatore della struttura precaria dei diritti universali.

Se allora si vuole, come vuole Nussbaum, definire una soglia minima di rispetto della dignità umana, di quella che, riprendendo uno dei temi della filosofia aristotelica, Nussbaum chiama "la buona vita", è necessario allargare l'orizzonte dei diritti fino a comprendere anche quello delle capacità, l'essere in grado cioè di assolvere a tutte quelle funzioni che rendono l'essere umano tale. Alla lista dei diritti, elencata nelle dichiarazioni e nelle carte costituzionali, una teoria della giustizia che si ponga il problema della giustizia sociale deve allora affiancare la lista delle capacità, "degli elementi necessari a un funzionamento autenticamente umano", che sappia superare le accuse di occidentalismo e imperialismo che vengono rivolte ai diritti, raccogliendo un ampio consenso transculturale, indice di un reale universalismo e multiculturalismo, contro le degerazioni comunitarie e relativistiche di molte teorie e pratiche della differenza culturale. Una lista che Nussbaum definisce "aperta", sempre contestabile e ricostruibile, ma che in ogni caso fissa bisogni che tutte le persone umane devono potere essere capaci di scegliere se realizzare o non. La lista va dal potere avere vita, salute e integrità fisica al potere usare i propri sensi, dal potere avere sentimenti al potere avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati, dal potere ridere e giocare all'avere il controllo del proprio ambiente politico e materiale.

Il decalogo di Nussbaum è suggestivo, alla prima lettura appare assolutamente ragionevole (come Nussbaum stessa lo definisce) e pienamente condivisibile: chi di noi non vorrebbe che venissero garantite le capacità di Nussbaum? Così come ricca di spunti di riflessione risulta la critica al costruttivismo razionalista liberale, ma anche al costruttivismo delle politiche multiculturaliste che finiscono per ghettizzare gli individui costretti all'interno di quelle che vengono costruite come "naturali" comunità di appartenenza.

E tuttavia il ragionamento di Nussbaum non convince pienamente, perché finisce per cadere nelle stesse difficoltà che imputa ai suoi avversari. Il liberalismo di Nussbaum è altrettanto costruttivistico di quello contrattualista, poiché si afferma come una teoria normativa della giustizia, che inevitabilmente oltre che normare, stabilendo i criteri di giustizia, normalizza i soggetti a cui questi criteri vengono applicati. A un'astrattezza Nussbaum sostituisce un'altra forma di astrattezza: l'umanità, concetto che si trasforma in un'essenza inanimata, poiché ricca di bisogni, ma priva di passioni, sorta di vegetale da "coltivare" o far "fiorire". Nussbaum vede le contraddizioni che la nostra realtà che si vuole globale svela oggi con maggiore radicalità, ma continua ad osservarle dall'alto, come sotto un vetrino di laboratorio, senza mai sperimentarne la corporeità, senza mai entrarvi, senza mai attraversarle, senza mai fare esperienza delle ferite reali attraverso cui le persone, donne e uomini in carne e ossa, si costituiscono, senza mai relazionarsi o dialogare con loro. E allora non è un caso che nel liberalismo di Nussbaum la parola meno usata sia libertà: vera questione aperta e orizzonte ineludibile di ogni discorso che si voglia universalistico, e su cui la riflessione più feconda viene da quel pensiero femminile della differenza che Nussbaum nel suo "liberalismo femminista" non prende in considerazione. Una libertà pensata e praticata come eccesso, libertà in azione, agita e agente, aperta e non fissata in un decalogo di norme.

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