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Sen: equità globale contro la povertà
Gli economisti sono tanti, ma pochi lasciano il segno. Amartya Sen, 79 anni, docente
a Cambridge e premio Nobel nel 1998, è uno di questi. Il suo lavoro su Welfare
e povertà ha ispirato in ogni parte del mondo l'idea di economia sostenibile e
il concetto di finanza etica, che appena dieci o quindici anni fa sembrava una
contraddizione in termini. Insieme al collega Robert Solow, Sen siede
nel comitato etico del Monte dei Paschi di Siena, e in tale veste è stato in
questi giorni a Milano.
"Combattiamo la povertà perché la speranza è una valida
risposta contro il terrorismo" ha detto recentemente George W. Bush a un
summit delle Nazioni Unite in Messico: l'11 settembre 2001 ha cambiato
l'approccio del mondo industrializzato nei confronti dei Paesi poveri?
Non conosco bene il pensiero di Bush né i suoi programmi, quindi
non posso fare illazioni. Finora però non vedo alcun cambiamento, a parte
qualche autorevole dichiarazione, come quelle del segretario generale dell'Onu
o del presidente della Banca Mondiale, a favore di una maggiore giustizia ed
equità nel Pianeta. Ci sono state anche iniziative importanti, come quelle per
l'alleggerimento del debito, ma nessun cambiamento sostanziale.
Esiste davvero una connessione fra povertà e terrorismo?
Se c'è, non è molto stretta: e non solo perché i leader del
terrore sono spesso ricchi, come nel lampante caso di Osama Bin Laden, e fanno
leva sul denaro per reclutare i loro soldati. Dal punto di vista scientifico,
si tratta di una relazione non provata. Anzi, la storia ci insegna che la
povertà può spesso convivere con la pace: è successo in Irlanda durante la
carestia del 1840, e durante quella bengalese del 1943. Ma anche se ci fosse
una relazione diretta fra povertà e terrorismo, non mi parrebbe l'argomento più
convincente per decidere di affrontare il problema dell'indigenza nel mondo.
L'etica globale che auspico è basata sulla solidarietà, non sulla paura della
paura.
Il dibattito etico è
ormai entrato a pieno titolo nel mondo della finanza e dell'industria, dove per
definizione la povertà non esiste: ritiene plausibile che tutto questo possa
portare, almeno nel lungo periodo, a risultati concreti? L'impatto di lungo
periodo di un'etica globale dipende dalla chiarezza con la quale viene
informata l'opinione pubblica. Alcune statistiche dicono che i poveri stanno
diventando più poveri e i ricchi più ricchi. Altre dicono il contrario. Ma il
mio parere è che si tratti comunque di un dato molto relativo, comparato con le
spaventose dimensioni del fenomeno povertà. Se c'è una diffusa percezione che
le cose stiano peggiorando, è perché - grazie alle comunicazioni, ai media e
anche grazie al turismo - si sta diffondendo una maggiore consapevolezza
dell'ineguaglianza che ci circonda. Suppongo che non sia abbastanza...
Spesso la questione dell'etica globale viene sollevata da persone
che non paiono veramente interessante ai problemi etici. Ad esempio, il
movimento "no global" solleva alcune delle domande più interessanti
sul tema, ma con una retorica sbagliata, che spara a zero sulla
globalizzazione.
Credo che sia un errore, perché il futuro sta in un'equa economia
globale, in un'equa società globale. La povertà non può essere cancellata
negando ai Paesi poveri l'accesso alle moderne tecnologie, le opportunità del
commercio internazionale o i vantaggi di vivere in una società aperta.
Per raggiungere tutto questo ritiene che bastino le proteste?
Non bisogna mai sottostimare l'impatto del pubblico nel
determinare i temi che vengono inseriti nell'agenda dei grandi dibattiti del
mondo. Gridare e basta può sembrare inutile - sono ovviamente contrario a
qualsiasi forma di violenza - ma può anche essere importante, per attirare
l'attenzione dell'opinione pubblica.
I dati da far conoscere non mancano: Oxfam, l'organizzazione non
governativa di cui lei è presidente onorario, ha appena calcolato che i Paesi
ricchi, con le barriere commerciali imposte ai Paesi in via di sviluppo, di
fatto si rimangiano gli aiuti economici da loro stessi concessi ogni anno...
Sono un economista e so quanto sia difficile fare questi calcoli.
Non c'è dubbio che le barriere commerciali non facciano altro che aggravare la
povertà. Ma ci sono molte altre riforme necessarie: assicurare a tutti
l'accesso al mercato globale, rivedere il sistema internazionale dei brevetti,
assicurare a tutti l'assistenza sanitaria e un'istruzione di base, distribuire
la conoscenza sulle architetture finanziarie, e così via.
Com'è, a suo giudizio,l'attuale stato dell'economia mondiale?
Sono abbastanza ottimista. Alla fine del secolo XX sono stati
fatti grandi passi avanti: i cinesi hanno avviato le prime importanti riforme
economiche; l'India sta crescendo; l'Asia Orientale è entrata in crisi, è vero,
ma dopo anni di crescita assai sostenuta; anche in America Latina, oggi colpita
dalla crisi argentina, tutti i Paesi hanno registrato una sensibile espansione
economica. L'importante è trarre da tutto ciò le giuste lezioni per il futuro.
La crisi asiatica, ad esempio, ci ha insegnato molto sui possibili errori nella
gestione finanziaria, ma anche su come combinare l'economia di mercato con la
democrazia. Ci sono segnali - solo segnali, per la verità - che ci dicono che
queste lezioni sono in corso di apprendimento. È questo a motivare il mio
ottimismo. Ma il processo per costruire un sistema economico mondiale equo e
giusto non può che essere lento.
E il mondo industrializzato? Come giudica questo mercato azionario
in preda alla speculazione e ai conflitti d'interesse?
Le dico la verità: delle vicende delle Borse mondiali non m'interessa un fico secco.