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Sen, non c'è libertà senza uguaglianza
Muovendosi
in uno spazio intermedio tra la teoria economica e la filosofia politica,
l'economista indiano Amartya Sen, Premio Nobel
1998, si è imposto negli ultimi decenni come una delle voci più originali nel
dibattito sul liberalismo e sulle teorie della giustizia sociale. Al centro di tutto egli pone il valore della
libertà, parola che appare anche nel titolo di questa raccolta di saggi sulla
globalizzazione (oltre che nel precedente Lo
sviluppo è libertà, pubblicato pure da Mondadori). Ma per Sen prendere sul serio la libertà
significa metterla in relazione con un altro valore fondamentale,
l'eguaglianza. Tutte le filosofie
politiche moderne, dall'utilitarismo all'anarcocapitalismo, dal contrattualismo
alla Rawls alla teoria di Dworkin, presuppongono una qualche idea di
eguaglianza. Tutte rispondono alla
domanda: quale eguaglianza? O meglio: eguaglianza «di che cosa»? Libertari e anarcocapitalisti si esprimono
in termini di diritti (diritti di proprietà innanzitutto), Rawls di «beni principali»,
Dworkin di «risorse», gli utilitaristi di preferenze rivelate, e gli economisti
in generale dì redditi.
Ma
secondo Sen nessuna di queste risposte è del tutto soddisfacente. Per questo egli ha proposto un approccio
basato sulle "capacità" che permette di guardare alle possibilità
reali che gli individui hanno di ottenere ciò cui essi attribuiscono valore,
evitando che le libertà formali - che pure hanno un'importanza fondamentale -
si trasformino in una beffa.
Sulla
base di questo sfondo teorico, e sulla straordinaria capacità di intuire il
nesso tra «idee astratte e concreti» già mostrata nelle sue classiche analisi
sulle carestie, vanno lette queste riflessioni di Sen sulla globalizzazione
(«Globalizzazione e libertà», Mondadori, Milano 2002, pagg. 162, € 14,60).
Un processo cui si dichiara apertamente favorevole. I no global lo attaccano in maniera spesso acritica e contraddittoria. Essi rifiutano ideologicamente il mercato e l'economia capitalistica, della quale invece - secondo Sen - vanno compresi i valori, diversi da Paese a Paese, che ne hanno determinato il successo. La globalizzazione non va interpretata come un fenomeno di "occidentalìzzazione " del mondo. Perché da sempre anche i Paesi non occidentali hanno contribuito ad arricchire l'armamentario dei valori universali. D'altro canto sarebbe criminale impedire, ai Paesi più poveri dì usufruire dei progressi scientifici e tecnologici che hanno reso così agiata la vita dei paesi più sviluppati. R tema centrale da affrontare, se si vuole rendere credibile la propria critica alla globalizzazione, è quello delle diseguaglianze. Ma insistendo sul fatto che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri i no global scelgono un terreno dì scontro sbagliato. Se anche fosse vero che mentre i ricchi si arricchiscono ulteriormente i poveri fanno anche loro qualche piccolo passo avanti - come sostengono i "conservatori" - questo per Sen non sarebbe un buon motivo per distogliere lo sguardo dalle «terribili privazioni» e dalle «enormi diseguaglianze» tuttora esistenti nel mondo. Sen propone dunque una serie di cambiamenti nelle istituzioni internazionali che si occupano di sviluppo (tutte figlie di Bretton Woods, ma dal 1944 il mondo è cambiato non poco), mostrando quanto i miglioramenti delle condizioni effettive degli individui possano andare di pari passo con la globalizzazione di una sene di diritti fondamentali, tra cui la libertà di parola. Formule magiche non ne esistono. Esiste solo la nostra capacità di capire, con atteggiamento pragmatico, quanto talvolta l'internazionalizzazione e talvolta la protezione dei localismi giovino o nuocciano all'eliminazione di sofferenze e diseguaglianze che non possiamo non ritenere intollerabili.