RASSEGNA STAMPA


27 APRILE 2002

 

MARCO MAGRINI

Sen: equità globale contro la povertà

Gli economisti sono tanti, ma pochi lasciano il segno. Amartya Sen, 79 anni, docente a Cambridge e premio Nobel nel 1998, è uno di questi. Il suo lavoro su Welfare e povertà ha ispirato in ogni parte del mondo l'idea di economia sostenibile e il concetto di finanza etica, che appena dieci o quindici anni fa sembrava una contraddizione in termini. Insieme al collega Robert Solow, Sen siede nel comitato etico del Monte dei Paschi di Siena, e in tale veste è stato in questi giorni a Milano.

"Combattiamo la povertà perché la speranza è una valida risposta contro il terrorismo" ha detto recentemente George W. Bush a un summit delle Nazioni Unite in Messico: l'11 settembre 2001 ha cambiato l'approccio del mondo industrializzato nei confronti dei Paesi poveri?

Non conosco bene il pensiero di Bush né i suoi programmi, quindi non posso fare illazioni. Finora però non vedo alcun cambiamento, a parte qualche autorevole dichiarazione, come quelle del segretario generale dell'Onu o del presidente della Banca Mondiale, a favore di una maggiore giustizia ed equità nel Pianeta. Ci sono state anche iniziative importanti, come quelle per l'alleggerimento del debito, ma nessun cambiamento sostanziale.

Esiste davvero una connessione fra povertà e terrorismo?

Se c'è, non è molto stretta: e non solo perché i leader del terrore sono spesso ricchi, come nel lampante caso di Osama Bin Laden, e fanno leva sul denaro per reclutare i loro soldati. Dal punto di vista scientifico, si tratta di una relazione non provata. Anzi, la storia ci insegna che la povertà può spesso convivere con la pace: è successo in Irlanda durante la carestia del 1840, e durante quella bengalese del 1943. Ma anche se ci fosse una relazione diretta fra povertà e terrorismo, non mi parrebbe l'argomento più convincente per decidere di affrontare il problema dell'indigenza nel mondo. L'etica globale che auspico è basata sulla solidarietà, non sulla paura della paura.

 Il dibattito etico è ormai entrato a pieno titolo nel mondo della finanza e dell'industria, dove per definizione la povertà non esiste: ritiene plausibile che tutto questo possa portare, almeno nel lungo periodo, a risultati concreti? L'impatto di lungo periodo di un'etica globale dipende dalla chiarezza con la quale viene informata l'opinione pubblica. Alcune statistiche dicono che i poveri stanno diventando più poveri e i ricchi più ricchi. Altre dicono il contrario. Ma il mio parere è che si tratti comunque di un dato molto relativo, comparato con le spaventose dimensioni del fenomeno povertà. Se c'è una diffusa percezione che le cose stiano peggiorando, è perché - grazie alle comunicazioni, ai media e anche grazie al turismo - si sta diffondendo una maggiore consapevolezza dell'ineguaglianza che ci circonda. Suppongo che non sia abbastanza...

Spesso la questione dell'etica globale viene sollevata da persone che non paiono veramente interessante ai problemi etici. Ad esempio, il movimento "no global" solleva alcune delle domande più interessanti sul tema, ma con una retorica sbagliata, che spara a zero sulla globalizzazione.

Credo che sia un errore, perché il futuro sta in un'equa economia globale, in un'equa società globale. La povertà non può essere cancellata negando ai Paesi poveri l'accesso alle moderne tecnologie, le opportunità del commercio internazionale o i vantaggi di vivere in una società aperta.

Per raggiungere tutto questo ritiene che bastino le proteste?

Non bisogna mai sottostimare l'impatto del pubblico nel determinare i temi che vengono inseriti nell'agenda dei grandi dibattiti del mondo. Gridare e basta può sembrare inutile - sono ovviamente contrario a qualsiasi forma di violenza - ma può anche essere importante, per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica.

I dati da far conoscere non mancano: Oxfam, l'organizzazione non governativa di cui lei è presidente onorario, ha appena calcolato che i Paesi ricchi, con le barriere commerciali imposte ai Paesi in via di sviluppo, di fatto si rimangiano gli aiuti economici da loro stessi concessi ogni anno...

Sono un economista e so quanto sia difficile fare questi calcoli. Non c'è dubbio che le barriere commerciali non facciano altro che aggravare la povertà. Ma ci sono molte altre riforme necessarie: assicurare a tutti l'accesso al mercato globale, rivedere il sistema internazionale dei brevetti, assicurare a tutti l'assistenza sanitaria e un'istruzione di base, distribuire la conoscenza sulle architetture finanziarie, e così via.

Com'è, a suo giudizio,l'attuale stato dell'economia mondiale?

Sono abbastanza ottimista. Alla fine del secolo XX sono stati fatti grandi passi avanti: i cinesi hanno avviato le prime importanti riforme economiche; l'India sta crescendo; l'Asia Orientale è entrata in crisi, è vero, ma dopo anni di crescita assai sostenuta; anche in America Latina, oggi colpita dalla crisi argentina, tutti i Paesi hanno registrato una sensibile espansione economica. L'importante è trarre da tutto ciò le giuste lezioni per il futuro. La crisi asiatica, ad esempio, ci ha insegnato molto sui possibili errori nella gestione finanziaria, ma anche su come combinare l'economia di mercato con la democrazia. Ci sono segnali - solo segnali, per la verità - che ci dicono che queste lezioni sono in corso di apprendimento. È questo a motivare il mio ottimismo. Ma il processo per costruire un sistema economico mondiale equo e giusto non può che essere lento.

E il mondo industrializzato? Come giudica questo mercato azionario in preda alla speculazione e ai conflitti d'interesse?

Le dico la verità: delle vicende delle Borse mondiali non m'interessa un fico secco.

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