RASSEGNA STAMPA


29 LUGLIO 2002

 

MARCELLO OSTINELLI

Le teorie della giustizia sociale e il problema della cura secondo Martha Nussbaum

Si deve soprattutto all'opera del filosofo americano John Rawls se la teoria normativa della giustizia sociale sia divenuta il punto focale della filosofia politica contemporanea. Una delle premesse del ragionamento rawlsiano sulla giustizia riguarda la concezione della persona: per Rawls, come per molti altri filosofi contemporanei, la struttura fondamentale della società giusta deve essere il risultato di un accordo stipulato tra individui che sono per loro natura "liberi, eguali ed indipendenti", secondo la celeberrima descrizione che ne dava già Locke nel Secondo trattato sul governo alla fine del Seicento.

Una teoria della società che consideri le persone libere, eguali ed indipendenti è valida nei casi normali, cioè può essere applicata quando tratta delle relazioni tra individui che sono in grado di stabilire tra di loro rapporti paritari e simmetrici.  Essa si presta perciò a pensare la struttura fondamentale della società a condizione che essa sia costituita di soli individui adulti, autonomi, che abbiano le capacità di badare pienamente a se stessi o, almeno, che non si trovino in condizioni di estrema dipendenza dalla cura e dall'assistenza di altri.

Qualcuno potrebbe obiettare però che nella vita reale le cose non stanno proprio così o, quantomeno, che non stanno sempre così.

Nessuno nega che una teoria della società giusta debba essere in grado di esaminare anche le situazioni nelle quali i rapporti tra le persone non siano paritari e simmetrici, allorché ad esempio una delle parti abbisogna di cure particolari. Rawls sostiene tuttavia che a questi problemi la teoria dovrà dedicarsi soltanto in una fase successiva, quando avrà già dato buona prova di sé nella risoluzione dei casi normali. Soltanto a quel punto la teoria sarà pronta per affrontare le questioni speciali, quelle che riguardano quella parte dell'umanità che non è ancora o non è più o non sarà mai indipendente dagli altri.

Non è di questo parere Martha Nussbaum, una delle voci più profonde ed impegnate della filosofia femminista contemporanea. L'illustre filosofa americana ritiene infatti che qualsiasi teoria della giustizia abbia bisogno di considerare adeguatamente questi problemi sin dall'inizio, includendo nel proprio nucleo fondamentale anche le condizioni di bisogno, di dipendenza e di cura che caratterizzano alcune fasi importanti di ogni vita umana e che, per taluni di noi,  persistono lungo l'arco dell'intera esistenza. In questi casi le teorie della giustizia in voga nella filosofia politica contemporanea non funzionano, in quanto esse ignorano l'esperienza della dipendenza nella vita umana o quanto meno la considerano marginale.  

Secondo Martha Nussbaum occorre formulare una teoria della giustizia che includa nel proprio nucleo normativo fondamentale il problema della cura.  

La questione della cura richiede pertanto che la concezione politica della persona che è alla base delle teorie della giustizia sia modificata; occorre abbandonare il modello di matrice lockiana e kantiana dell'individuo libero, eguale ed indipendente e sostituirlo con un modello di stampo aristotelico che consideri la persona umana "come un essere dotato tanto di capacità quanto di bisogni". Secondo la filosofa americana la persona umana è caratterizzata infatti tanto dalla capacità razionale di guidare dall'interno la propria vita e di compiere scelte autonome quanto da una condizione materiale e sociale di bisogno. Una società giusta non ignora i bisogni di cura: essa  elargisce le cure necessarie a chi ne ha bisogno e considera adeguatamente l'onere che grava sulle persone che provvedono a dispensarle.

Il contributo di Martha Nussbaum ci appare particolarmente allettante nell'esame e nella risoluzione di alcune questioni fin qui considerate marginali dalle teorie della giustizia: questioni che toccano ad esempio la cura dei neonati, dei bambini, degli anziani, dei malati e dei disabili. La loro peculiare vulnerabilità non può essere ignorata da una teoria completa della giustizia sociale. "Il genere di reciprocità in cui gli individui sono coinvolti ha i suoi periodi di simmetria, ma anche, e necessariamente, i suoi periodi di asimmetria più o meno acuta", osserva la filosofa. Perciò la cura costituisce un bene fondamentale che deve essere dispensato a chiunque viva temporaneamente o durevolmente in condizioni di dipendenza.

Si prenda il caso dell'educazione dei bambini: la teoria della società giusta deve considerare d'un lato la libertà dei genitori di poter condurre la loro vita a proprio modo e di perseguire liberamente la loro concezione del bene; d'altra parte però i bambini non debbono neppure essere dei meri ostaggi della famiglia nella quale sono cresciuti. Una teoria della giustizia deve pertanto farsi carico del diritto di questi bambini di disporre di un futuro aperto e di eque opportunità di scelta nel corso della loro esistenza. D'un lato vi è il diritto dei genitori di perseguire il proprio ideale di vita buona; dall'altra vi è il dovere dello Stato di impedire che i bambini, membri vulnerabili della famiglia e particolarmente bisognosi di cura, siano posti sotto un potere tirannico che limiti eccessivamente la libertà e le opportunità di scelta nella loro vita futura. "La tensione che risulta da questo duplice principio - scrive Martha Nussbaum nelle pagine conclusive di questo aureo volume ("Giustizia sociale e dignità umana.", Il Mulino, Bologna 2002, pp. 149)    - costituisce il nucleo del liberalismo: si tratta però di una tensione valida e produttiva, che non dimostra affatto confusione o insuccesso morale.  In generale, la tensione presente in una teoria non prova necessariamente che questa sia difettosa; può essere semplicemente la dimostrazione che si trova in contatto con le difficoltà della vita" .

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vedi anche
Filosofia (e) politica