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[Salvatore Veca
e il Nobel
Amartya Sen
Lo
sviluppo? Si misura
anche con la libertà dei popoli
IDENTITÀ,
globalizzazione, crisi della rappresentatività democratica nella prospettiva
del mondo di oggi, con le sue crisi, i suoi scenari presenti e prossimi futuri.
Negli spazi della Fondazione Cini a Venezia, per l’occasione dell’annuale
convegno della Scuola Librai che quest’anno ha festeggiato i suoi vent’anni, si
confrontano opinioni e punti di vista diversi, una vera e propria passerella di
star intellettuali con economisti, filosofi, scrittori, sociologi come Amartya
Sen, Remo Bodei, Salvatore Veca, Umberto Eco.
Sen affronta il
tema della identità. A suo avviso ci vengono continuamente imposte identità che
sono una semplificazione nella definizione di realtà più complesse perché
l’individuo partecipa a un’infinità di gruppi. Siamo noi che possiamo decidere
quali di queste identità siano più importanti. Quando qualcuno cerca di importi
una identità, esercita una violenza cui bisogna resistere. Come nel caso del
terrorismo e del fondamentalismo. Per il premio Nobel indiano è unilaterale
descrivere una persona come arabo e mussulmano: quella rappresentazione è una
delle sue molte identità, ma se ne possono avere altre. D’altro canto il
fondamentalismo gli chiede di essere solo quella cosa, negando la sua storia e
la sua complessità. Ci sono mussulmani di ogni tipo. L’idea di chiuderli in una
sola identità è sbagliato. Vista la gravità e le conseguenze dei contrasti tra
le varie identità sociali esistenti nel mondo, per lui sembra davvero
impossibile l’assenza di riflessione etica che affligge buona parte
dell’umanità. Per Salvatore Veca poteri sociali
ubiqui esercitano una vera tirannia su vite di persone e decisioni prese da una
parte della Terra hanno effetti in altre parti. E decisioni di pochi hanno e continuano
ad avere effetti sulle vite di molti, di troppi esseri umani.
Da qui nasce quella che Remo Bodei chiama la
drastica riduzione a pensare al futuro collettivo, la privatizzazione e la
desertificazione del futuro. Tutto ciò deriva dalla fine della “cultura del
progresso", che ci ha fatto credere che gli eventi possano marciare in una
direzione. Ma quella stessa riflessione etica è necessaria nel valutare il
fenomeno della globalizzazione che non va interpretata come un elemento
dell’occidentalizzazione. Da sempre, dice Sen, i paesi non occidentali hanno
attribuito alla ricchezza un valore. Il problema non è rinunziare alle
conquiste della scienza e ai vantaggi forniti dalla tecnologia né agli
incontestabili benefici che derivano dal vivere in società aperte anziché
chiuse. Il problema è come fare buon uso della liberalizzazione dei mercati e
dei risultati del progresso tecnico scientifico in modo che tutti i paesi,
anche quelli del Terzo mondo, possano fruirne. Per raggiungere un adeguato
sviluppo, i miglioramenti delle condizioni di vita degli individui possono
andare di pari passo con la globalizzazione di una serie di diritti
fondamentali, tra cui la libertà di espressione. Così, aggiunge Bodei, lo
sviluppo non consiste in una maggiore ricchezza di beni materiali ma anche e
soprattutto in un processo di trasformazione sociale che elimini le fonti
principali di illibertà come l’ignoranza, la malattia, la mancanza di
democrazia, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali. Può
accadere, continua Sen, che i deboli si spaventino e temano uno schiacciamento
culturale, la macdonaldizzazione. Ma si possono spaventare pure i ricchi,
quando vedono tanta emigrazione. Le finestre devono essere sempre aperte. Gli
scambi hanno sempre arricchito l’uomo. Lo scambio tra culture diverse non può
assolutamente essere visto come una minaccia.
Sullo sfondo, c’è la crisi della democrazia rappresentativa di cui parla
Umberto Eco
nell’intervento finale al convegno. Che comporta la caduta del momento
elettorale (basti pensare al caso degli Usa dove solo il trenta per cento dei
cittadini ha eletto Bush) e l’emergere di nuovi generi di rappresentanza non
necessariamente legati al momento politico. Nascono nuove forme di
comunicazione e la rappresentatività può essere garantita dalla presenza
reticolare di gruppi di pressione che occupano spazi della comunicazione. Basti
pensare all’informazione che si muove secondo modelli del tutto diversi da
quelli tradizionali grazie ad Internet a cui corrisponde la circolazione
garantita dai grandi apparati dei mass-media che sono come grandi dinosauri,
pare sulla via dell’estinzione. Alle nonne vanno quotidiani e televisioni, ai
nipoti tutti gli altri mezzi più leggeri e volatili, dice Eco delineando un
futuro scenario globale in cui il libro (il tema portante di queste giornate
veneziane) non muore, anzi stabilisce parametri di filtraggio e di
compensazione rispetto a una memoria informatica enorme e incontrollabile,
diffusa negli infiniti gangli della comunicazione.
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