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Nussbaum: globalizzazione dal volto umano
Oltre le teorie di Amartya Sen, la
studiosa teorizza il diritto di ridere e divertirsi per un mondo più giusto
E' stato un economista, premio Nobel, a contestare che lo sviluppo
di un Paese si misuri con il Pil (prodotto interno lordo) o con la produzione
industriale. Amartya Sen,
indiano di origine, premiato a Stoccolma nel 1998, ha detto che si misura con
le persone, con il benessere delle persone. Tra gli indicatori dello sviluppo
di uno Stato, bene le cifre sulla produttività, ma altrettanto e più rivelatori
sono per esempio i livelli di alfabetizzazione e di aspettativa di vita dei
cittadini . Lo sviluppo è libertà dichiara il titolo del suo ultimo volume, e
non è l'opera di un utopista sognatore, ma di un uomo di conti che però lega
l'economia all'etica e intende sviluppo come giustizia sociale. Ma non basta:
bisogna poter ridere, giocare, crearsi divertimenti; bisogna poter immaginare,
pensare, cercarsi ognuno il senso ultimo della vita. Non basta: bisogna poter
vivere con gli animali e dentro la natura; bisogna poter amare, soffrire,
desiderare... Questi "non basta" li dirà ad Amartya Sen, oggi, da
Bologna, Martha C. Nussbaum
partecipando alle conferenze su globalizzazione e giustizia sociale promosse
dall'Associazione Orlando. Dei "non basta" che rivendicano altri e
precisi indicatori di sviluppo umano al di là di quelli accennati da Sen.
La Nussbaum, docente di Legge ed etica all'Università di Chicago,
laureata honoris causa in Scienze politiche mercoledì all'Università di Torino,
non è un'antagonista del premio Nobel, tutt'altro. Ma parte dalle sue tesi per
radicalizzarle. Ha fatto suo "l'approccio delle capacità" per
misurare lo sviluppo, capabilities in inglese, che meglio si tradurrebbe con
"mettere in grado di esser capace". È l'idea di Sen: libertà non è
solo mancanza di coercizioni, ma messa in opera di risorse e apporti
istituzionali per dare a tutti e ciascuno le stesse "capacità". La Nussbaum
dirà a Bologna che questa posizione è basilare anche perché, nel considerare
concretamente come indicatore di sviluppo "quel che ciascuna persona può
davvero essere e fare", trascina dentro il meccanismo della giustizia
sociale anche la condizione della donna, spesso esclusa dal reale esercizio dei
diritti umani e dalla prosperità nazionale.
I veri diritti per la Nussbaum sono proprio le
"capacità" e a Sen ella rimprovera di averli solo indicati in linea
di massima, mentre per lei è essenziale stilare una tabella delle capacità
fondamentali e ineludibili perché uno Stato possa dirsi giusto. Nel discorso di
Bologna enuncerà il suo decalogo (riportato anche nel recente volume Giustizia
sociale e dignità umana , il Mulino) di cui fanno parte i diritti-capacità di
ridere, di amare, di godere della natura che abbiamo richiamato più sopra e che
la filosofa americana illustrerà sotto le voci: Vita; Salute fisica; Integrità
fisica; Sensi, immaginazione e pensiero; Sentimenti; Ragione pratica;
Appartenenza; Altre specie; Gioco; Controllo del proprio ambiente.
Già dai titoli siamo lontanissimi dalla Dichiarazione dei diritti
fondamentali dell'uomo e dal Contratto sociale. Ovvio, ribatte Martha Nussbaum,
perché quel contratto è stilato tra persone astratte: sane, sottinteso maschi,
sempre uguali e sempre alla pari. La vita vera non è così: si parte bambini, si
cresce, si invecchia, ci si ammala. Lei come riferimento e fine sceglie l'uomo
di Aristotele:
un essere sia capace sia bisognoso. O quello di Marx: "che ha
bisogno di una grande ricchezza di attività" perché la sua sia una vita
pienamente umana. I bisogni, le dipendenze, fanno parte della vita reale,
sottolinea la Nussbaum, e "la società deve perciò trovare modi" per
farvi fronte "che siano compatibili col rispetto di sé di chi riceve e che
non sfruttino chi presta le cure". Cure che, diversamente, non previste
nel progetto di società, sono sempre ricadute sulle donne creando profonde ingiustizie
"di genere".
Sul suo decalogo Martha Nussbaum è più che disposta ad accettare critiche e modifiche. L'importante, sostiene, è che questa "tavola delle capacità fondamentali" sia stilata - argomento su cui Amartya Sen le appare riluttante - e diventi il metro internazionale a tutela della dignità umana e di una reale giustizia. La filosofa, che collabora con l'Onu proprio sul Programma di sviluppo, osserva che oltretutto il principio delle "capacità" non ha il sapore dell'Occidente come i diritti del contratto sociale, dunque sarebbe più facilmente accettato dai vari Paesi. L'affermazione che ciascuno deve poter vivere in pieno la sua vita - osserva la Nussbaum - funziona come un "modulo": ognuno lo riempirà secondo la sua storia, la sua cultura, il suo credo.