Conferenza sul commercio equo e solidale


Una riflessione critica sul commercio equo e solidale: questo il tema dell’incontro svoltosi lunedì 28 maggio alla Sala della Maddalena (Vescovado) e organizzato dalla Nuova Regaldi (area socio-politica) e dalle Botteghe del Mondo “Abachashì”(Novara), “Madre Terra” (Galliate) e “Cuore attivo”(Borgomanero).

L’incontro, notevolmente e attentamente partecipato, ha avuto respiro internazionale per la gradita presenza di Tito Arunga, che ha portato la sua esperienza di produttore di un paese del Sud del mondo (il Kenya).

La serata, moderata da Luca Palagi di “Ctm Altromercato”, è stata aperta da Cecilia Gilodi, laureata in economia aziendale, che, anche a nome dei giovani universitari, ha posto a tutti i presenti la domanda di quanto sia etica ed umana la realtà economica in cui ci troviamo a vivere e ad agire. La sfida è ardua: cercare, tra le maglie del sistema economico neo-liberista, l’esistenza di forme economiche etiche, più solidali e più umane.

Da qui l’interesse per l’esperienza del commercio equo e solidale, nato dalla constatazione di un bisogno di giustizia sociale da parte dei popoli del Sud del mondo. Le multinazionali raddoppiano i profitti, mentre i paesi in via di sviluppo continuano a ricevere meno di un terzo dei proventi delle vendite e si trovano a combattere la sovrapproduzione che riduce ulteriormente il prezzo del mercato.«Di fronte a simili notizie – ha detto Cecilia Gilodi – una riflessione etica è d’obbligo. Il commercio equo e solidale, attraverso i paradigmi che propone (rapporto paritario, prezzo equo, continuità del rapporto, pre-finanziamento) consente a noi consumatori del Nord, di innescare e sostenere un’economia fatta di altri valori e di logiche ulteriori». Notevolmente significativo il riferimento all’imprenditore “santo” Marcello Candia, il quale affermava che “il massimo profitto sta nel servire i poveri con la massima efficienza”.

Particolarmente interessante il contributo di Tito Arunga, introdotto da bellissime diapositive di fotografie scattate in Kenya da Angelo Miramonti. Il produttore keniota ha tracciato una panoramica della situazione nella sua città, Kisumu, sulle sponde del Lago Vittoria, centro di ottanta mila abitanti la cui economia si basa soprattutto su pesca, agricoltura e artigianato manifatturiero. I problemi sono però molti: la forte disoccupazione, il mercato non sufficientemente sviluppato, una produzione poco diversificata, causa di molta competizione. Gli artigiani lavorano e vendono in strada, senza possibilità di ottenere alcun credito.“iwa Creations”, la società di cui Tito Arunga è “managing director”si propone di cercare nuovi spazi di mercato (in altre città, a Nairobi, all’estero) per i produttori locali.«Ora lavorano con noi – ha spiegato Arunga – 130 piccole imprese. Cerchiamo di rendere migliore la vita delle persone, di creare condizioni per il lavoro femminile, con un buon impatto anche nei confronti dell’ambiente. Certo, l’aiuto dei paesi del Nord del mondo, sotto la forma del commercio equo, ci è indispensabile e ci fa felici».

L’ultimo relatore della serata è stato Fabio Amatucci, professore all’Università Bocconi di Milano, esperto di commercio equo e autore di studi e monografie sul tema.

Il professore ha cominciato il suo intervento analizzando i problemi principali dell’economia del Sud del mondo: esportazione di materie prime non lavorate, diminuzione della domanda da parte del Nord, politiche protezionistiche e mutazioni tecnologiche nei paesi più sviluppati, crisi debitoria dei paesi già poveri, errate e precarie politiche governative. I mercati locali dei paesi del Sud sono molto lontani dalle zone dell’economia che conta e il guadagno dei produttori locali è abbattuto spesso alla radice da una lunga catena di mediazioni.

Il commercio equo vuole far tornare in primo piano, nelle logiche di mercato,i piccoli produttori locali, lasciando ad essi la maggior parte del valore aggiunto dei prodotti, in un’ottica di sostenibilità ambientale. Ottimizzando inoltre i tempi di flusso delle merci (per evitare dannose giacenze in depositi)e finanziando direttamente i produttori, si possono creare possibilità per un’economia più giusta e solidale.

« È essenziale però – ha affermato Amatucci – non avere paura del mercato: il commercio equo deve cercare i propri spazi, consolidarsi nei circuiti tradizionali, fare più attenzione ai criteri manageriali e di marketing, sensibilizzare continuamente l’opinione pubblica, formare i propri operatori con un’attenzione privilegiata alla progettualità. Con questi requisiti potrà vincere la sfida della globalizzazione».



Massimo Donaddio