Nel 1974 Romero viene nominato vescovo di Santiago de María, una diocesi nuova, piccola e periferica. Pastore zelantissimo, per risvegliare dal torpore la diocesi mons. Romero compra una jeep, vi monta un altoparlante e batte le campagne, improvvisando piissimi
happening: musica sacra, omelie, celebrazioni di matrimoni e di battesimi, distribuzione di cibo ai campesinos più poveri. La nomina a vescovo effettivo, padre e pastore, responsabile di un popolo, va mutando l'atteggiamento interiore di mons. Romero e, a mano a mano che si lega al popolo e ai poveri, fa maturare in lui una nuova consapevolezza. Romero comincia a leggere con occhi nuovi i documenti di Medellín e le encicliche "progressiste" di Paolo VI (la
Populorum progressio, la
Evangelii nuntiandi), e spinto dall'esigenza di giustizia, chiama i ricchi alla conversione dall'egoismo che mantiene i lavoratori nella povertà, ma, educato ad una visione della vita in cui si deve accettare la sofferenza e cercare la pace e l'armonia ad ogni costo, non riesce ancora concepire l'idea che i poveri non siano soggetti passivi ma protagonisti della loro storia per liberarsi dalla condizione di fame e schiavitù in cui sono costretti, non avverte ancora quanto la lotta "anticomunista" dell'oligarchia sia in realtà una lotta contro i poveri e le loro esigenze, i loro diritti, ed anche contro chi sta a fianco dei poveri. Si rattrista di certi eccessi delle forze armate, ritenendo che però forse siano comprensibili nel clima di violenza del paese e nella necessità di difendere la democrazia.
... L'incarico di arcivescovo di San Salvador, Romero "voce dei senza voce"